25-06-2025 09:31:53 D.L. Sicurezza n. 48/2025: a pochi giorni dallo scoccare del sessantesimo giorno… di Sonia Porta
Il D.L. 11 aprile 2025, n. 48 è stato pubblicato sulla G.U. lo stesso giorno e, ai sensi del suo art. 39, è entrato in vigore in data successiva.
I due profili problematici che attanagliano l’attualità giuridica, dottrinale e operativa, si riversano sul tema dell’iter formativo della suddetta normativa e su quello del merito che coinvolge, violandoli, principi costituzionali di prim’ordine nel campo del diritto penale.
Tutto questo è avvenuto, ahimè, ancora una volta, l’ennesima.
L’applicazione pratica dell’art. 72 della Costituzione al D.d.L. recante “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario” ha ricevuto lo “scacco matto” del Governo che ha “chiuso la partita” avvalendosi di un compito che gli è possibile svolgere solo in casi straordinari di necessità e urgenza come enuncia il successivo art. 77.
Il ricorso al decreto-legge dovrebbe essere evitato in materia penale; ciò costituisce l’orientamento dottrinale più autorevole e risalente, oltre che fedele all’intero dettato costituzionale che, con particolare riferimento alle norme incriminatrici ed al sistema anche processuale della loro interpretazione, garantisce in primis la libertà personale.
Se l’ordinanza di applicazione della custodia cautelare deve rappresentare l’extrema ratio e la sentenza definitiva di irrogazione della pena detentiva deve essere immune al ragionevole dubbio, il percorso logico dei poteri legislativo e giudiziario non può ignorare il bene umano più prezioso curato dai Padri costituenti: la libertà appunto.
Il cittadino che viola la legge penale, per dolo o per colpa, subisce la sanzione penale all’esito di un processo spesso di lunga durata che si dimostra non meno defatigante della pena detentiva inflitta. Il percorso penale, dall’incriminazione al fine pena, è dunque un camminamento doloroso per tutti gli attori del reato e, quanto al reo, richiede la consapevolezza di avere violato la legge offendendo l’altrui interesse. Tale consapevolezza risiede anzitutto nella conoscenza da parte dell’autore della norma incriminatrice che viene violata stravolgendo l’ordine sociale.
Lungi dal voler scivolare nell’inutile banalità dovrebbero dunque sorgere spontanee tre domande; una di scuola: l’assenza nel decreto-legge del periodo di vacatio rende possibile la conoscenza immediata della norma incriminatrice da parte di tutti? Una più tecnica: se la norma incriminatrice fosse di dubbia interpretazione si potrebbe parlare ugualmente di conoscenza idonea a sorreggere l’incriminazione? L’ultima del seguente tenore: in quali casi l’appello del Governo ai presupposti della necessità e dell’urgenza può sorreggere in maniera legittima l’entrata in vigore di una norma incriminatrice fuori dall’ordinaria sede parlamentare?
In prima battuta, questi quesiti sembrano gettare un’ombra sulla “sicurezza” di cui lo stesso decreto-legge porta il nome, lasciandone dunque solo il titolo, alimentando di contro la generale e pericolosa insicurezza sociale sulla conoscenza e corretta comprensione di ciò che è lecito e di ciò che non lo è, nonché fomentando il dubbio sulla ratio effettiva che la normativa così inserita nell’ordinamento giuridico intenda porre a fondamento del proprio impianto.
Lo spazio contenente la risposta a quelle domande è nella Costituzione, nei pronunciamenti della Corte Costituzionale e nella dottrina degli studiosi di tale disciplina. Non vi è invece spazio alcuno per un’applicazione impropria delle regole, dei valori e dei principi di questa autorevole fonte.
La sentenza n. 364 del 1988, nota agli operatori del diritto, costituisce la stella polare, sempre attuale, per la corretta applicabilità del diritto penale puro, costantemente illuminato dalla Costituzione com’è e come dev’essere.
In particolare, i giudici considerano l’essenza e la portata dei principi penali di colpevolezza, di proporzionalità, di ragionevolezza, di offensività, di tassatività, di personalità e di uguaglianza, sebbene in primis essi improntino il loro arresto sull’istituto giuridico dell’ignoranza della legge dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 c.p. nella parte in cui non esclude dall’inescusabilità penale l’ignoranza inevitabile.
Non deve sfuggire agli addetti ai lavori, vieppiù nell’ambito di formazione delle leggi, che la prevedibilità della condotta antigiuridica da parte dell’agente e la possibilità per quest’ultimo di calcolare ex ante il rischio di commissione di un illecito costituiscono l’essenza dei principi della riserva di legge e della colpevolezza, quest’ultima quale legame fra la condotta umana e l’evento antigiuridico.
Ai fini dell’esclusione della colpevolezza, l’insegnamento della Corte attribuisce rilevanza alla non conoscenza scusabile della legge penale causata dalla formulazione incomprensibile della norma che la renda estranea ad una semplice e corretta interpretazione da parte di chiunque.
Il termine chiunque vuole evidenziare come il metro interpretativo sul punto non possa essere univoco per tutti dovendosi tenere conto del differente livello culturale dell’individuo di volta in volta considerato e delle sue possibilità economiche necessarie per avvalersi di professionisti utili allo scopo.
E’ risaputo che anche il periodo di vacatio previsto costituzionalmente nella formazione della legge garantisce il dipanarsi pratico della migliore e completa conoscenza sociale della norma incriminatrice che, in ipotesi di sua violazione, prevede l’applicazione di una pena anche detentiva.
L’esercizio del potere punitivo dello Stato, limitante la libertà personale, è giustificato nella concomitanza ovvero nell’imminenza successiva al fatto antigiuridico dalla flagranza di reato, sebbene con i successivi vagli di convalida nei termini e nei modi sanciti dalla Costituzione e dal codice di rito penale. La flagranza di reato è un caso di necessità e di urgenza che giustifica tale restrizione. Va tuttavia considerato come quest’istituto appartenga all’area dello svolgimento del processo penale in riferimento ad un fatto illecito già prescritto dalla legge, ordinaria o speciale.
La previsione di una nuova fattispecie incriminatrice, invece, costituisce necessariamente il frutto di un’approfondita e discussa analisi, connessa a specifiche ed individuate problematiche - caratterizzate da risvolti d’allarme penale - alla quale si dovrebbe fare fronte nella maniera più mirata ed opportuna: ebbene, tali prodromiche valutazioni risultano assolutamente inconciliabili con l’urgenza prevista dall’art. 77 della Costituzione. La criminalità richiede uno specifico inquadramento, una puntuale individuazione e un’adeguata punizione ma anche una sua accurata prevenzione, attenta e specifica, senza dimenticare l’opera rieducativa affidata alla pena.
L’introduzione di nuove ipotesi di reato, di sproporzionati e ingiustificati aumenti di pena, la previsione di nuove aggravanti prive di ragionevole fondamento e l’inserimento di nuove ipotesi ostative all’applicazione di misure alternative alla detenzione deve essere sorretta da puntuali motivazioni, nonché da confronti e da riflessioni anche giuridiche - coltivati all’interno di un più ampio quadro normativo di sistema - che non releghino ad un’urgenza improvvisa non individuata l’ampliamento della normativa penale a discapito della certezza del diritto e della situazione carceraria, pure minorile, già al collasso sia dal punto di vista “logistico” che dal punto di vista dell’emergenza legata al preoccupante aumento dei suicidi dei detenuti.
I giudici della Consulta, con la Sentenza citata, hanno motivato la modifica dell’art. 5 c.p., mediante la previsione della scusabilità incolpevole dell’ignoranza della legge penale, in questi termini “l’art. 5 (…) viola (…) lo spirito stesso dell’intera Carta fondamentale ed i suoi essenziali principi ispiratori. Far sorgere l’obbligo giuridico di non commettere il fatto penalmente sanzionato senza alcun riferimento alla consapevolezza dell’agente, considerare violato lo stesso obbligo senza dare alcun rilievo alla conoscenza od ignoranza della legge penale e dell’illiceità del fatto, sottoporre il soggetto agente alla sanzione più grave senza alcuna prova della sua consapevole ribellione od indifferenza all’ordinamento tutto, equivale a scardinare fondamentali garanzie che lo Stato democratico offre ai cittadini ed a strumentalizzare la persona umana, facendola retrocedere dalla posizione prioritaria che essa occupa e deve occupare nella scala dei valori costituzionalmente tutelati”.
A conclusione si legge infine che “l’inevitabilità dell’errore sul divieto (…) non va misurata alla stregua di criteri c.d. soggettivi puri (…) bensì secondo criteri oggettivi: ed anzitutto in base a criteri (…) secondo i quali l’errore sul precetto è inevitabile nei casi d’impossibilità di conoscenza della legge penale da parte di ogni consociato (…)”.
Non vi è insomma altra lettura in ordine a quanto sin qui brevemente commentato se non quella per cui l’agente deve essere posto nell’oggettiva possibilità di conoscere le leggi penali, garanzia, questa, che non può essere credibilmente concessa con il fumus della decretazione d’urgenza.
28 maggio 2025
Sonia Porta, Avvocata, Camera Penale di Brescia