09-06-2017 12:13:46 Con Socrate alla Corte di Giustizia ...da sempre non mi lascio persuadere se non da quel ragionamento che, secondo il mio modo di pensare, mi sembri il miglioreE’ la scritta in greco, dal "Critone"' di Platone, che campeggia sul piedestallo dell’Erma di Socrate: il busto, prestito del Museo Archeologico di Napoli, che accoglie da qualche mese avvocati e visitatori all'ingresso dell'aula di udienza della Grande Chambre, nell'imponente edificio della Corte di Giustizia dell'Unione Europea. Un bel monito per chi accede a uno dei templi della giurisprudenza sovranazionale, là dove oggi (quasi) tutto accade.Dopo la visita alla Corte EDU, qualche anno fa, per assistere a un'udienza e renderci conto di come funziona la Corte che tutela i diritti e le libertà quando gli Stati non li rispettano, stavolta, di ritorno dall'Aja (ma questa è un'altra storia), abbiamo voluto dare un’occhiata alla Corte di Lussemburgo, anche perché a discutere davanti alla Grande Camera il 30 maggio c'era uno di noi: Vittorio Meanti, componente del direttivo della C.P. di Cremona. Insieme alla collega Ilaria Dioli, Vittorio ha portato alla Corte, grazie ad un'ordinanza del Tribunale di Bergamo che ha accolto la sua richiesta il 16 settembre 2015, la questione attualissima del ne bis in idem in relazione al cosiddetto doppio binario sanzionatorio per le violazioni tributarie. La questione pregiudiziale, nello specifico, era questa: se la previsione dell’ art. 50 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, interpretato alla luce dell’art. 4 prot. n. 7 CEDU e della relativa giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, osti alla possibilità di celebrare un procedimento penale avente ad oggetto un fatto (omesso versamento IVA) per cui il soggetto imputato abbia riportato sanzione amministrativa irrevocabile.Questa non è la sede per affrontare o anche solo riassumere l’articolato dibattito sul tema che negli ultimi anni è tornato prepotentemente all’attenzione dei commentatori, sotto la pressante spinta delle pronunce delle Corti europee che si sono succedute: basti ricordare la sentenza della Corte di Giustizia Aklagaren c. Hans Akerberg Fransson del 26 febbraio 2013 e quella della Corte EDU del 4 marzo 2014 Grande Stevens c. Italia, cui hanno fatto seguito altre pronunce della Corte di Strasburgo di analogo tenore, per poi giungere alla Grande Chambre del 15 novembre 2016, A e B c. Norvegia ed alla recentissima Jóhannesson e a. c. Islanda del 18 maggio 2017 (I sezione). Tutte decisioni che, pur con alcune non irrilevanti differenze, hanno portato con forza sulla scena europea e nazionale canoni di applicazione del principio - stabilito dalla CDFUE all’art. 50, e dal Protocollo aggiuntivo alla CEDU n. 7, all’art.4 - che sembrano proiettarlo verso una massima espansione. Espansione determinata dal concetto di matière pénale inteso in chiave sostanzialistica ed alla declinazione in chiave ugualmente fattuale e concreta dei criteri di individuazione dell’idem factum stabiliti negli arresti delle due Corti europee. Il 30 maggio, peraltro, la Grande Camera era chiamata a pronunciarsi anche sulla questione sollevata dalla Corte di Cassazione (la causa era stata riunita a quella del collega Meanti), relativa al doppio binario sanzionatorio per gli abusi di mercato (interessata anche la CONSOB).Solo poche note di cronaca.Prima dell’inizio dell’udienza, come di prassi, il presidente ha chiamato l’avvocato generale e tutti i difensori in camera di consiglio per conoscerli e salutarli singolarmente; erano presenti, oltre alle parti interessate delle cause riunite, la Commissione Europea e alcuni degli Stati che avevano ritenuto di costituirsi in giudizio depositando memorie: Italia, Germania, Francia, Irlanda. L’udienza si è svolta nel rigoroso rispetto dei limiti di tempo (15 minuti per ogni intervento, oltre a una successiva breve replica) e di contenuti prestabiliti: ogni parte era chiamata a rispondere sugli specifici quesiti orali proposti dalla Corte e resi noti in precedenza. Solo in pochissime occasioni il presidente è intervenuto a ricordare agli avvocati, che discutevano ciascuno nella propria lingua madre, la necessità di parlare un po’ più lentamente per facilitare la traduzione simultanea.Al termine degli interventi è iniziata la fase più gustosa, per gli spettatori, e più delicata per gli avvocati impegnati nell’udienza: quella delle domande del presidente e degli altri giudici del collegio interessati ad ottenere chiarimenti dalle parti. Discutere davanti alla Corte di Giustizia è un onore straordinario, ma in quel momento non avremmo voluto essere nei panni dei colleghi. I giudici lussemburghesi non si accontentano di risposte di stile o che ripropongano argomenti già svolti: una volta formulata la domanda non mollano l’osso fino a che non hanno ottenuto una risposta precisa e soddisfacente; in difetto, ringraziano scuotendo la testa in modo eloquente. Saranno stati la solennità del rito, la maestosità dell’aula, l’incalzante fuoco di fila delle domande “a sorpresa”, ma noi spettatori italiani abbiamo vissuto questa udienza come una conferma dell’idea che da un po’ ci accompagna: oggi il cuore pulsante del diritto coincide con quello dell’Europa. Ed è un cuore diviso in due. Quando il giudice finlandese, calando gli occhiali sul naso, ha chiesto all’avvocata della Francia in tono soave “è così gentile da spiegarci perché questa Corte dovrebbe uniformarsi alla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo?”, ai più è sfuggito un sorriso (potremmo forse dire che questa è “la” domanda).Non sappiamo come andrà a finire, ma la discussione di Vittorio ci ha entusiasmato; su questo, però, non posso soffermarmi perché so che verrei redarguita dall’interessato.Stefania Amato