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11-01-2014 09:45:07 Nove massime di Deontologia giudiziaria (L. Ferrajoli)

(estratto dall’intervento di Luigi Ferrajoli al XIX Congresso di Magistratura Democratica Roma, 31.1 – 3.2.2013)

1. La consapevolezza del carattere “terribile” e “odioso” del potere giudiziario.
2. La consapevolezza del carattere relativo e incerto della verità processuale e perciò di un margine irriducibile di illegittimità dell’esercizio della giurisdizione.
3. Il valore del dubbio e la consapevolezza della permanente possibilità dell’errore in fatto e in diritto.
4. La disponibilità all’ascolto delle opposte ragioni e l’indifferente ricerca del vero.
5. La comprensione e la valutazione equitativa della singolarità di ciascun caso.
6. Il rispetto di tutte le parti in causa.
7. La capacità di suscitare la fiducia delle parti, anche degli imputati.
8. Il valore della riservatezza del magistrato riguardo ai processi di cui è titolare.
9. Il rifiuto anche solo del sospetto di una strumentalizzazione politica della giurisdizione.

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A margine dell’incontro di studio bresciano sulla deontologia delle funzioni, organizzato dalla Commissione Distrettuale per la formazione M. Onorari il 18 dicembre 2013, trovo opportuno riproporre e rinnovare la provocazione di rispecchiare la deontologia delle funzioni del difensore nel quadro della “deontologia giudiziaria”, così efficacemente delineata dal Prof. Ferrajoli.
La base etica della deontologia fa sì che non ci si possa appagare del solo rispetto delle regole, dovendosi anche valutare le conseguenze ed i risultati del comportamento dell’avvocato (sua responsabilità sociale). Dunque l’etica della responsabilità delinea un difensore che è sì – ed innanzitutto – il custode–garante dei diritti e della corretta applicazione delle leggi, ma in quanto operatore di giustizia ed operatore per la giustizia.
Il testo del Codice deontologico in via di approvazione tipizza la funzione difensiva, delineandone il cuore nel Titolo IV dedicato appunto ai “Doveri dell’avvocato nel processo”. Non è necessario far ricorso a tutti gli altri doveri stabiliti dai rimanenti Titoli, a partire dal I sui “Principi generali”, per comprendere il significato della responsabilità sociale alla quale è chiamata e vincolata la missione forense. In particolare la fairness, ovvero – a casa nostra – la lealtà nel rispetto delle regole, è tuttora una cornice da riempire con tratti decisi.
Tocca a noi, cari amici: spogliarci da ogni tentazione corporativa ed attrezzarci per essere “cani da guardia” sì, ma fedeli e affidabili.
La provocazione che intendo rinnovare, allora, è piuttosto semplice.
Vogliamo analizzare le massime deontologiche proposte da Ferrajoli? Se mai si raggiungesse (rectius: si potesse mai raggiungere) il rispetto di quelle indiscutibili regole di comportamento dei magistrati, gli avvocati sarebbero pronti a sostenere un altrettanto rigoroso impegno?
E’ sin troppo facile dare risposte negative su entrambi i fronti, così come è desolatamente semplice riproporre l’analisi sconfortante dello stato della giustizia.
Ritengo, allora, che non sia sufficiente lamentare le distorsioni ed appellarsi ai doveri deontologici delle funzioni del giudice e del pubblico ministero. Questo resta un nostro imperativo, che non può far velo all’impellenza del correlativo rispetto dei nostri doveri: senza limiti.
Che ne dite, vogliamo deciderci a parlarne?

Avv. Sergio Genovesi