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25-07-2014 00:16:00 La nostra giustizia

La credibilità della giustizia s'è persa da tempo. Ne dà misura la reazione ad ogni annuncio giornalistico di una decisione "eclatante", come l'assoluzione del "Cavaliere", per vedere vivacemente rinnovata la ridda dei commenti più disparati. Mi pare sia l'ennesimo segno di processi che non risultano comprensibili ai più, che non assolvono cioè all'aspettativa di ottenere decisioni chiare, coerenti con indagini precise.
Tra i molti contributi (autorevoli) offerti dalla cronaca dei nostri giorni ne ho scelti due da proporre alla Vostra attenzione, perché provengono da magistrati, che hanno voluto denunciare disagi e disfunzioni vissuti sul campo ed invocare l'impellenza della riforma della giustizia.
Il Procuratore della Repubblica di Prato, dottor Piero Tony, se ne è andato in pensione quasi ringraziando la limitazione di età imposta dal Governo Renzi. Ha rilasciato un'intervista al Foglio per rappresentare "la voce di tutti quei magistrati che in tutti questi anni hanno osservato con frustrazione lo trasformazione dei processi che regolano la giustizia italiana". In sintesi, ha denunciato il volto nemico della giustizia per l'eccesso di discrezionalità che si sono riservati sempre più inquirenti e giudicanti.
Così, la custodia cautelare viene usata "come se fosse un modo per determinare la certezza della pena", profittando dell'ambiguità del "processo mediatico" e sapendo di portare "avanti processi che sanno già in partenza che cadranno in prescrizione".
E' poi negletta la disposizione dell'art. 358 c.p.p. relativa al dovere del P.M. di accertare "fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini", sicché si rinnega in partenza la regola (Karl Popper) che "qualsiasi teoria, per essere scientifica, deve essere falsificabile".
Sulle intercettazioni e sull'eccessiva disinvoltura che le vede praticare il dottor Tony le descrive come "ottimo bignè" da regalare ai giornalisti e si limita ad invocare almeno la rigorosa applicazione delle disposizioni esistenti. Quanto alla obbligatorietà dell'azione penale ed al libero convincimento del Giudice "c'è sempre una discrezionalità". Infine a proposito di magistratura politicizzata e CSM, l'interessato - che si dichiara iscritto da sempre a MD - rileva la farisaica contraddizione per la quale "un magistrato non può essere iscritto ad un partito e può invece far parte di un prodotto del pantografo, ovvero di una corrente, che è di fatto configurato come un
partito".
Se il dottor Tony si è semplicemente sfogato su temi noti ma con l'esperienza di chi ha "lavorato nella Procure più importanti di Italia, con i poliziotti più importanti d 'Italia, con i magistrati più importanti d'Italia e già negli anni Settanta mi ero accorto che c'era qualcosa che non funzionava", molto più organica risulta la riflessione sulla "riforma per una giustizia più credibile" del Presidente di sezione Cassazione dottor Giuseppe Maria Berruti pubblicata il 20 luglio 2014 dal Corriere della sera.
Definito il problema "assolutamente di sostanza" e denunciato che "il sistema giudiziario è a pezzi", viene osservato:
• l'obbligatorietà dell'azione penale si traduce in un'espressione di autorità in una società che non accetta più un simile comando, per il quale "la giustizia ... deve infliggere sofferenze prima di capire se queste sono giustificate", "usando la violenza della legge anche nei
confronti di chi, sempre secondo la legge, è presunto non colpevole";
• la magistratura non è rimasta semplicemente un ordine autonomo ed indipendente, nel momento in cui "l'indipendenza è percepita come libertà dalla regola, come potere di fare tutto": "non può funzionare" che si infligga un danno "prima che tutto il controllo processuale sia stato effettuato";
• il CSM "non governa quando si paralizza sulle incapacità di decidere": i magistrati, come nella vicenda Berlusconi, "hanno adoperato la vicenda ... per difendere il sistema com'è", si va avanti con vuote "parole d 'ordine come unicità delle carriere" e libera interpretazione
di norme e fatti del processo, sfuggendo alla necessità di "effettivi controlli sulla loro quotidiana professionalità";
• "l'autoriforma dei magistrati è fallita" ed è "la difficilissima questione morale della
magistratura" ad "essere messa da parte, perché è la politica a essere corrotta".

Bene, c'è una sola riflessione che vada censurata, che sia fuori posto, tra quelle proposte da magistrati così esperti, consapevoli, coscienziosi?
Credo proprio nessuna, le possiamo sottoscrivere tutte.
Allora sento il dovere formulare l'ennesimo richiamo o, meglio, due appelli alternativi.
Ai magistrati italiani, non alla "sorda" ANM, dico di tirare le somme sulla loro stessa incapacità di autoriformarsi e di ricercare l'umiltà minima per confrontarsi (anche) con gli avvocati, che subiscono ma non tollerano il costante sacrificio del diritto di difesa, per una riforma sincera della giustizia, per uscire dalle nebbie di una gestione fallimentare (che li vede corresponsabili).
Al Ministro Orlando ed al Premier Renzi, nonché alle forze politiche che hanno a cuore il sistema Paese, raccomando di ascoltare almeno il Presidente della Repubblica e di dimostrare che le riforme oltreché urgenti debbono essere organiche. Di giustizia si può anche morire (prescrizione non permettendo!).

IL PRESIDENTE
(Avv. Sergio Genovesi)