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27-11-2014 17:24:40 Affinché i processi non siano ETERNI(T)

Se davvero si vuole che i processi non siano eterni, che le vittime dei reati siano risarcite in tempi ragionevoli, e che gli imputati stessi siano giudicati e scontino le relative pene in epoca possibilmente prossima ai fatti, occorre che l’istituto della prescrizione non venga stravolto. Compito della politica è di resistere alle sollecitazioni della cronaca e non di trasformare in improvvide riforme l’onda d’urto dell’emozione collettiva. Per non fare di un disastro (ambientale) motivo d’innesco d’ulteriori disastri (processuali) conviene mantenere i nervi saldi e considerare la materia con la dovuta cautela. Dire, come si legge nei comunicati di ANM, che da anni la magistratura aveva segnalato come quella introdotta dalla legge Cirielli “era una pessima riforma che avrebbe creato tanti problemi”, sembra davvero uno sproposito se si considerano i dati, oramai noti a tutti, del sostanziale dimezzamento del numero delle prescrizioni che, in meno di dieci anni, quella legge ha determinato. Accusare la prescrizione, in quanto istituto sostanziale, della fine infausta del processo Eternit significa attribuirne l’esito non alla patologia (la irragionevole durata di quel processo) bensì al suo possibile rimedio. Siamo, infatti sicuri che una modifica dell’attuale regime, nel senso ipotizzato dai DDL all’esame del Parlamento, comporterebbe un assurdo allungamento dei tempi processuali. Da tempo i riformatori più illuminati insistono piuttosto nel segnalare la necessità di diminuire il numero dei processi, operando piuttosto su di una ragionevole forma di discrezionalità dell’azione penale, su di una forte depenalizzazione, sul cd. codice penale minimo. Una serie di rimedi che certamente consentirebbero una più proficua distribuzione delle risorse ed un considerevole accorciamento dei tempi del processo, con conseguente ulteriore riduzione del numero delle prescrizioni. Ma non basta. Abbiamo più volte infatti sottolineato come l’emotività comprensibilmente inoculata nell’opinione pubblica ed amplificata dagli esiti di eclatanti casi giudiziari, non sia mai una buona compagna di viaggio per le riforme del diritto penale e del processo. L’emotività fa infatti spesso perdere di vista la meta conducendoci per i sentieri pericolosi della retorica e facendoci avventurare per le scorciatoie del populismo. Di fronte al caso Eternit c’è da chiedersi piuttosto in che misura l’imputazione di disastro ambientale, anziché di omicidio, possa avere avuto un ruolo nell’esito prescrizionale, e come sia possibile infine che la prescrizione, che apprendiamo dalle fonti essersi maturata già prima che iniziasse il giudizio di primo grado, possa essere sfuggita tanto al Tribunale che alla Corte di Appello. E’ di oggi infatti la notizia della chiusura, da parte della Procura, di una nuova indagine svolta in relazione ad oltre 200 omicidi volontari aggravati (reati questi certamente imprescrittibili), per cui chi pone in correlazione la necessità di una modifica della prescrizione con l’esito del processo Eternit dimostra di non voler comprendere le vere cause del problema: la scelta di procedere per il reato di disastro è stata della Procura e non certo dei Giudici della Cassazione, costretti dalla polemica ad emettere una - piuttosto insolita - nota di chiarimento. Né sembra inopportuno - a fronte delle giustificate aspettative che il processo aveva prodotto sotto il profilo risarcitorio - richiamare ancora una volta la necessità di riflettere seriamente sulla attuale commistione fra azione civile ed azione penale che contribuisce spesso nel determinare tensioni ed alimentare aspettative che finiscono con il danneggiare tanto gli imputati che le vittime dei reati. Sul punto, la Commissione Canzio aveva già dato un primo pur timido suggerimento.
Se non vi è dubbio che il numero delle prescrizioni deve essere assolutamente abbattuto e che l’esito prescrizionale è segno di un fallimento della macchina processuale, è anche vero che i processi non possono essere eterni. In un paese come il nostro, di modeste risorse e di scarsa vocazione all’efficienza, una volta caduto il dispositivo prescrizionale, i processi languirebbero negli armadi e nessun meccanismo risarcitorio, di quelli allo studio del Parlamento, potrebbe mai restituirgli dignità.

Roma, 20 novembre 2014

La Giunta