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23-02-2015 14:50:01 Suicidi in carcere e deliri su internet: il senso di un impegno

Il recente episodio salito agli onori della cronaca, mi riferisco agli agenti di Polizia Penitenziaria che hanno inneggiato al suicidio di un detenuto romeno all'interno del carcere milanese di Opera, solleva più di un interrogativo.
A colpire è soprattutto l'identità degli autori di questa macabra celebrazione.
Non si è trattato infatti di un quisque de populo, nel senso di persona qualunque, un estraneo al mondo carcerario ed alle sue tematiche, di un soggetto cioè che sia lambito da questa problematica in modo marginale e non documentata e che colga pertanto solo gli aspetti mediatici e grossolani del problema.
Se così fosse saremmo di fronte al solito problema della disinformazione e della scarsa sensibilità nei confronti del carcere, che viene visto dalla maggioranza come una sorta di discarica sociale nel quale gettare i rifiuti pericolosi e lasciarli lì in modo che non inquinino la società.
Chi intende il carcere in quest'ottica non può che annotare con disinteresse o sollievo il suicidio del detenuto romeno, rifiuto speciale per eccellenza, la cui sparizione volontaria risolve in un colpo solo due problemi e cioè la sicurezza della società, per sempre libera dalla minaccia che lo stesso rappresenta, e il risparmio della collettività, che non si deve più addossare le spese di gestione e mantenimento di questo pericoloso soggetto.
In questo caso ci troveremmo a parlare di necessità di una maggiore/migliore informazione sul fenomeno carcere e saremmo maggiormente stimolati nel progetto di coinvolgimento della collettività su questo tema di assoluta rilevanza sociale.
Purtroppo non è così.
Il messaggio arriva infatti da agenti di Polizia Penitenziaria, da persone che occupano una poltrona in prima fila, da soggetti che vivono ogni giorno la realtà carceraria, dividendo tempo/spazio/emozioni con i detenuti.
Da ciò l'idea, il pensiero (l'illusione?) che gli stessi siano tra i primi a dover cogliere l'essenza del problema carcerario, della necessità per la società di avviare un percorso di recupero e reinserimento sociale che coinvolga i reclusi.
In effetti in questi anni ho preso parte in varie città d'Italia a convegni relativi alla realtà carceraria nei quali hanno preso la parola rappresentanti della Polizia Penitenziaria che si sono sempre e senza distinzione schierati a favore della legge Gozzini, delle misure alternative alla detenzione, del lavoro all'interno ed all'esterno del carcere, alla creazione di spazi di lavoro, di studio e di socializzazione nelle strutture carcerarie.
Per questo il becero e squallido affresco dipinto sulle pagine di facebook mi ha lasciato un fondo di stupore ed amarezza.
Sono note le difficili condizioni di lavoro degli Agenti di Polizia Penitenziaria, malpagati, sotto organico e costretti a condizioni di vita non molto migliori di quelle dei reclusi.
Ciononostante, mi illudevo che avvocati, addetti alla Polizia Penitenziaria, Direttori Carcerari, educatori , assistenti sociali, Giudici di Sorveglianza, costituissero una sorta di task force tesa ad affrontare, pur nell'ambito dei rispettivi ruoli, una battaglia sociale tesa al recupero dei detenuti.
L'episodio di Opera rappresenta una vera e propria doccia gelata su questa idea e le opposte reazioni da parte degli Agenti stessi – l'Alleanza Sindacale Polizia Penitenziaria ed il Giornale della Polizia Penitenziaria hanno pubblicato e condiviso il vergognoso link, gli altri Sindacati ed il DAP hanno condannato con fermezza l'episodio – forniscono un quadro confuso e frammentario sui reali convincimenti della Polizia Penitenziaria.
Ed è proprio questo, in ultima analisi, il messaggio che arriva da questa vicenda.
I pensieri, le idee e le aspettative riguardo il mondo carcerario sono diverse e a volte confuse e contraddittorie così come caotico è il quadro sociale e politico in cui si inseriscono.
Da una parte l'Europa condanna il nostro sistema carcerario, dall'altro l'Italia che, con misure a volte efficaci (quale l'allargamento delle misure alternative alla detenzione) altre volte di semplice facciata (quale la riduzione di pena e di risarcimento danni ex art. 35 ter l. 354/75 che, dati nazionali alla mano, è ovunque disapplicata) cerca di rispondere in modo affannoso e incoerente al grido di dolore che viene dalle carceri italiane.
Un grido di dolore che non è una richiesta di scarcerazioni facili o di chissà quali privilegi intramurari.
No, dai detenuti arrivano richieste civili e ineludibili: lavoro, studio, socialità umana, reinserimento sociale.
È da questa base che si deve ripartire, senza tentennamenti e senza distinguo, lasciando a chi si chiama fuori dal coro il senso della propria inutilità.

Gigi Bezzi

Mi permetto di aggiungere a quanto, così bene, ha scritto Gigi Bezzi, che l’incredibile episodio rivela in modo assolutamente chiaro che esiste anche un problema di reclutamento, selezione e formazione di coloro che vengono assunti per svolgere, per retribuzioni spesso minime, un compito così delicato.
Non si tratta, evidentemente, soltanto della preparazione tecnica, ma anche di quella culturale.
Chi ha in affidamento la vita di una persona legittimamente privata della libertà personale dovrebbe coltivare il valore della vita umana e del rispetto della persona sopra ogni cosa ed avere ben chiaro che, per la Costituzione e per l’ordinamento, il carcere deve anche essere il luogo dove le persone, attraverso l’aiuto ed il confronto con tutti gli operatori che vi interagiscono, tentano di ritrovare il senso di una partecipazione sociale smarrita.
Perché ciò possa realizzarsi è necessario che anche gli operatori della Polizia Penitenziaria siano adeguatamente formati per essere parte del progetto di ri-socializzazione del detenuto.
Ogni generalizzazione è certamente errata, e siamo certi che la assoluta maggioranza degli Agenti della Polizia Penitenziaria, con sacrificio, concorre in modo convinto alla realizzazione concreta di questi obiettivi costituzionali ma, in ogni caso, episodi come questo impongono di richiamare l’attenzione di chi seleziona e dirige coloro che operano dentro il carcere, affinché la cultura dei valori costituzionali diventi sempre il più bagaglio imprescindibile di ogni singolo Agente nella valutazione dell’attitudine professionale alla tutela ed al recupero delle persone in custodia.
Per parte nostra continueremo a lottare per cambiare il carcere dove si patiscono condizioni disumane “... sino all’impulso di togliersi la vita ...” (G. Napolitano) e per cambiare la cultura di coloro che hanno inneggiato al suicidio del detenuto romeno.

Eustacchio Porreca


L' Unione Camere Penali e l'Osservatorio Carcere UCPI manifestano il loro apprezzamento per l'immediato intervento del Ministro della Giustizia Andrea Orlando, dopo che un sindacato della Polizia Penitenziaria aveva pubblicato un link sul suicidio di un detenuto rumeno di 39 anni nel carcere di Opera a Milano, con i commenti di alcuni agenti sul tragico evento. Leggere frasi come "ottimo, speriamo che abbia sofferto" , "uno in meno","spero che abbia sofferto, 3mq a disposizione per qualcun altro", fa comprendere quale possa essere il clima di repressione che si vive in alcuni istituti di pena.
L'incontro tra il Guardasigilli e il Capo del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, unitamente all'indagine interna, dovrà consentire di giungere all'identificazione degli autori di quelle ignobili frasi, per i quali l'Unione chiede la sanzione disciplinare della destituzione dal servizio, per avere commesso atti che rivelano mancanza di senso morale, così come espressamente previsto dal Decreto Legislativo in materia. Ci auguriamo che la parte sana della Polizia Penitenziaria voglia emarginare queste persone, che con il loro comportamento offendono il lavoro di chi, tra mille difficoltà, s'impegna ogni giorno anche per evitare atti di autolesionismo tra i detenuti. Dall'inizio dell'anno sono già 6 i suicidi negli istituti di pena. Erano stati 43 nel 2014. Riteniamo che sulla strada del mutamento culturale sulla detenzione, annunciato dal Ministro Orlando, debba esserci anche la punizione di chi ha scritto frasi inimmaginabili per una società civile.