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08-12-2013 10:31:53 L'intervista del dottor Platè su "La Provincia" di Cremona

La giornalista di cronaca giudiziaria Francesca Morandi, esperta giornalista de "La Provincia" di Cremona, ha intervistato il dottor Enzo Platé, presidente della seconda sezione penale della corte d'appello di Brescia, il quale ha esposto la propria visione del "sistema giustizia". Alcune affermazioni lasciano davvero perplessi, ma è importante ed interessante conoscere le opinioni di un magistrato di alto grado della nostra corte. Di seguito riportiamo il testo integrale dell'intervista. In una successiva news potrete leggere il commento del nostro presidente, l'avv. Sergio Genovesi. Attiveremo quanto prima una discussione sul forum del nostro sito.
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"E’ entrato in magistratura nel 1974, per molti anni è stato pretore, occupandosi, in particolare, di infortuni sul lavoro e di inquinamento. Poi, nel 1989, con la riforma del codice, è arrivato a Cremona, sua città d’adozione. E’ il giudiceEnzo Platè, 66 anni, per cinque pm alla procura presso la pretura, poi «quando ho avvertito che i tempi erano maturi», nel 1995 ha fatto il salto di qualità in corte d’appello a Brescia, dove da quattro anni è presidente della seconda sezione penale. Ma tredici anni fa, il giudice Platè fece quel salto poiché «stanco di vedere i miei processi in corte d’appello finire nel nulla», si è detto ‘Vado a vedere io’. E ha capito il perché.
Presidente, è opinione diffusa che la giustizia non funzioni o funzioni male.
«Potrebbe funzionare meglio anche con qualche riforma non costosa».
Per esempio?
«Io ho una visione molto particolare della giustizia, perché lavoro nel buco nero della giustizia che sono le corti d’appello, il collo della bottiglia. In corte d’appello, il 40 per cento dei procedimenti cade in prescrizione. Sotto il profilo della spesa—carabinieri, polizia, personale della cancelleria, primo giudice — lo Stato ha sostenuto spese forti. E allora uno dei mali è la prescrizione, che rappresenta il cancro della giustizia e che continua a correre implacabilmente fino al terzo grado di giudizio».
Bisognerebbe quindi mettere un freno prima?
«In Francia la prescrizione si ferma in primo grado, in Svizzera con l’esercizio dell’azione penale del pubblico ministero. Quando lo Stato non ha più interesse a perseguire quel reato, ha senso porre un termine con la sentenza di primo grado. L’appello è di interesse dell’imputato e questo crea un ulteriore danno: il proliferare degli appelli non tanto perché sia ingiusta la sentenza di primo grado, quanto per arrivare alla prescrizione. Il tribunale di Brescia ha lo stesso organico del 1861».
Ho capito bene: 1861?
«Sì, con cinque giudici in più di fronte all’eccezionale afflusso di processi alla corte d’appello che ha competenza su un distretto di 2 milioni di abitanti. Per motivi di spesa, i giudici non possono aumentare e allora bisogna snellire il processo d’appello».
Come?
«Conferendo funzioni monocratiche. In primo grado c’è il giudice unico. Dovrebbe ipotizzarsi anche in appello. In questo modo si moltiplicherebbero le forze. In appello si devono impegnare tre giudici per una guida in stato di ebbrezza, per il furto, le ingiurie, la truffetta, quando poi in primo grado a un solo giudice si attribuisce la responsabilità di reati molto più gravi come gli omicidi che ormai, salvo quelli indiziari per cui si va davanti alla corte d’assise, si definiscono con il rito abbreviato davanti al giudice dell’udienza preliminare. A San Marino c’è il giudice unico in grado d’appello. Questa è la prima cosa da fare».
Poi?
«La Corte di Cassazione regge con fatica al lavoro immenso, perché può dichiarare inammissibile il ricorso. In appello invece tutto è ammissibile. Qui ogni contestazione è buona. Bisognerebbe porre dei paletti al giudizio d’ appello».
Un esempio?
«Bisognerebbe dare la possibilità al giudice d’appello di dichiarare l’inammissibilità, quando la sentenza di primo grado non ha chance di essere riformata come nel civile. E poi c’è un terzo punto. Bisognerebbe agire sotto il profilo della spesa. La giustizia è una macchina complessa, c’è tanto personale. Il processo d’appello per chi perde costa 60 euro a fronte di spese che riguardano tre giudici, la cancelleria gli ufficiali giudiziari. Quando si sale su un tram o su un treno si paga il biglietto».
Quindi, bisognerebbe farlo pagare anche quando si sale sul treno della giustizia.
«Sì. Intanto, bisogna alzare il tetto del gratuito patrocinio che oggi è di 10.628,16 euro all’anno, meno di mille euro al mese, affinché più persone vi possano ricorrere. In cambio, bisogna limitare il ricorso in appello con un congruo deposito della somma, salvo poi renderla con interessi in caso di assoluzione».
Fungerebbe da deterrente.
«Un deterrente alla infondatezza dell’appello. Nei paesi anglosassoni le impugnazioni sono rarissime e da statistiche non superano il 4 per cento. Là, l’appello deve superare due vagli: il giudice che ha deciso e il giudice che lo riceve. L’appello è una risorsa preziosa del nostro ordinamento, non lo si può sciupare, consentendo che venga strumentalizzato ai fini della prescrizione, che sfiora il 50 per cento. La prescrizione è il fallimento del sistema e per chi ci lavora è deludente».
Ciò spiega l’arretrato.
«Il formidabile arretrato. Dopo Venezia, il distretto della corte d’appello di Brescia ha il peggior coefficiente giudice-abitante. Un giudice ogni 80mila abitanti, Napoli uno ogni 30mila, Genova uno ogni 59mila conmetà della popolazione».
E’ favorevole all’accorpamento?
«Lo dicevo da tempo. Basta con i tribunali sabaudi».
Che avevano un senso perché si andava a cavallo.
«Con l’accorpamento si ha un notevole risparmio ed è merito del ministro l’avere resistito ai campanilismi».
I nostri tribunali sono pieni di processi ai ‘fantasmi’, agli irreperibili. Un costo.
«Da noi i processi con irreperibili sono destinati ad essere rinnovati ai fatti, quando l’irreperibile viene trovato o arrestato».
Ma se non viene più trovato?
«E’ un inutile dispendio di energia. Bisognerebbe adottare la soluzione tedesca: la sospensione del processo. All’estero è molto più facile ottenere misure custodiali e quindi, anche la ricerca dell’irreperibile diventa meno ardua. Il mandato di cattura all’estero viene emesso anche per la truffa. Da noi è impossibile emetterli».
Sovraffollamento delle carceri.
«Siamo di fronte ad un vertiginoso aumento della popolazione straniera in Italia e quindi, di una quota congrua di persone straniere venute in Italia per arricchirsi con mezzi illegali. A ciò non ha corrisposto una edilizia carceraria. Le carceri sono sovraffollate nonostante si abbondi di misure alternative».
Oggi chi c’è in carcere?
«Chi ha compiuto reati gravissimi; i tossicodipendenti che non puoi mettere fuori, perché c’è un pericolo recidivale, e gli stranieri che non sai dove mettere. La soluzione ideale è quindi costruire più carceri o comunità protette. E’ che in tempo di crisi economica, la risocializzazione suona parola vuota».
Informatizzazione, udienze on-line con testimoni sentititi a distanza (a Cremona già si fanno), semplificazione del sistema delle notifiche.
«Nel processo penale la lungaggine esiste anche perché viene favorito il contumace rispetto a chi si presenta. Al contumace si deve fare una notifica ulteriore. Un avvocato di Brescia diceva ‘L’imputato che è sagace resta contumace, quando è fesso si presenta nel processo’. Con l’informatizzazione ci sarebbe un notevole risparmio di tempo, ma anche di costi a carico dell’individuo.
Mentre strapaghiamo i difensori d’ufficio, il povero testimone non residente ha diritto al rimborso del biglietto di seconda classe e se si deve fermare sul posto, perché è talmente lontano o per esigenze di giustizia, ha diritto ad una indennità pari a 1,29 euro al dì».
Sa di presa in giro.
«Ma il giudice deve poi avvalersi dell’ausilio degli interpreti, che sono pagati molto meno del personale delle imprese di pulizia, senza voler denigrare: 4,7 euro all’ora. Un sistema così è abbastanza umiliante».
Processo sui diritti tv: Berlusconi ha già detto che chiede la revisione alla corte d’appello di Brescia. Potrebbe toccare a lei.
«Per evitare polemiche sulla composizione, l’idea migliore è il sorteggio dei componenti».
A proposito di revisione del processo, avete respinto la richiesta fatta da una «bestia di Satana».
«Le revisioni vanno guardate con molta attenzione.La revisione deve avere la forza di spezzare il giudicato che si è formato nel tempo. Una volta in corte prendemmo una cantonata».
La racconti.
«Era il caso di un furto con spaccata.La polizia aveva rilevato una unica impronta sul bancone del bar. Apparteneva a un pregiudicato. Costui, che non si è presentato al processo, è stato poi assolto in primo grado, perché si disse ‘Chissà quando questa impronta è stata lasciata’. La procura impugna e la corte condanna. Parte l’ordine di carcerazione. Ad un certo punto una persona telefona: ‘Sono il marito della proprietaria del bar’».
Si è fatto vivo quando ha sentito il ‘tintinnar di manette’, quando stava per finire in galera. Poteva, però, presentarsi al processo.
«Per tornare al detto dell’avvocato di Brescia, l’imputato qui non sempre sagace».
Strage di piazza della Loggia. Lei ha presieduto la corte d’assise d’appello che ha confermato la sentenza di assoluzione emessa nel processo di primo grado.
«La più grande soddisfazione mia e del collega Vacchiano è che la sentenza è stata positivamente apprezzata dai familiari delle vittime, perché ha indicato una direzione».
La ricordiamo?
«Quella della pista veneto-veronese, perché il famoso esplosivo era stato custodito in una casa di Verona»."