05-10-2015 13:20:28 Congresso di Cagliari - due riflessioni del nostro presidente Cari Amici, i resoconti di Maria Laura Quaini, entusiastico richiamo all’impegno, e Stefania Amato, perfetta sintesi dell’evento, mi esimono dal doverVi raccontare quanto è accaduto a Cagliari nelle tre giornate di Congresso Straordinario dell’Unione. Fortunatamente per me, la tecnologia può consentire, a chi di Voi lo volesse, di rivedere tutto il Congresso e di leggere tutti i documenti che sono stati presentati e discussi, senza bisogno che sia io a doverVene dare conto in dettaglio. Due modeste riflessioni, a distanza di qualche giorno, ritengo meritino di essere, invece, portate all’attenzione di tutti. La prima riguarda la vita associativa dell’Unione: nonostante sia stato necessario più di un confronto tra aspirazioni diverse, il Congresso ha consentito di fare un passo avanti nel fissare le regole della partecipazione democratica alla vita dell’associazione, stabilendo finalmente i requisiti minimi per il riconoscimento del numero di iscritti di ciascuna Camera Penale che intenda essere rappresentata presso l’Unione: si è infatti modificato lo Statuto con la previsione che socio di ogni Camera Penale è colui che sia iscritto alla data del 31 dicembre di ciascun anno e sia in regola con il pagamento della quota d’iscrizione. La previsione consentirà di uniformare, su tutto il territorio nazionale, il momento di individuazione del numero degli iscritti in ciascuna camera, imponendo che i relativi elenchi siano inviati dai segretari all’Unione entro il 31 gennaio dell’anno successivo. La previsione risulterebbe di poco peso se non si fosse anche stabilito che, ai fini del conteggio dei delegati a partecipare a ciascun Congresso, si debba fare riferimento alla media degli iscritti (in regola, ovviamente) dei due anni precedenti a quello del Congresso, con la sanzione della riduzione alla metà per le camere penali che, nel biennio, non abbiano comunicato, o non abbiano comunicato entro il 31 gennaio, gli elenchi aggiornati. Ciò eviterà la formazione dei cd. elenchi fisarmonica, tipici di quelle camere penali che, in vista del Congresso Ordinario dell’Unione nel quale vengono eletti i membri degli organi direttivi, si presentano con un numero di iscritti che svanisce immediatamente l’anno successivo. Si tratta di un primo passo verso una gestione ancor più trasparente e corretta della vita dell’associazione, che deve mantenere l’alta considerazione di cui gode anche attraverso regole associative interne capaci di assicurare la corrispondenza del peso di ciascuna Camera Penale al numero effettivo dei propri iscritti, fuori da ogni possibile strumentalizzazione. Ma è anche un richiamo all’effettività del vincolo associativo, che va sempre curato, in tutte le realtà locali, con riferimento agli scopi dell’associazione, fuori da ogni interesse personale. La seconda riflessione riguarda la stagione politico-giudiziaria che attraversa il nostro Paese: tra i tanti interventi interessanti, abbiamo sentito a Cagliari il Presidente dell’ANM affermare che i pur alti principi del processo accusatorio si scontrano con il peso schiacciante dei numeri di processi da celebrare, che il modello processuale non è in condizione di garantire l’efficienza del sistema e che, in questa situazione, diventa quasi inevitabile la compressione per via legislativa o giurisprudenziale di qualche garanzia, la rivisitazione della prescrizione o il ricorso a strade di accertamento della responsabilità di vecchio stampo inquisitorio. Non possiamo qui affrontare e neppure semplicemente elencare tutte le disfunzioni dalle quali è afflitto il funzionamento dell’amministrazione della Giustizia: anche su questi temi siamo sempre disponibili al confronto ed al dialogo, ma ci preoccupa l’atteggiamento della Magistratura che, ancora oggi, anziché esigere di essere messa in condizione di applicare e far vivere il processo (tendenzialmente) accusatorio, voluto dal legislatore oltre venticinque anni fa, si ostina ad additarlo come la causa dei mali dell’amministrazione e ad utilizzare la leva dell’inefficienza come grimaldello verso riforme regressive o come giustificazione valida per accreditare prassi giudiziarie di tipo inquisitorio. E’, evidentemente, un problema anche di formazione culturale e, tuttavia, il dialogo su questi temi potrà essere avviato soltanto quando si porranno le basi per una discussione aperta, leale e franca, che non potrà prescindere da un punto di partenza comune: l’accettazione profonda (direi quasi intima) del modello processuale che il legislatore (fino a prova contraria, il Popolo Italiano, in nome del quale la Giustizia è amministrata) ha deciso di adottare nel primo codice processuale della Repubblica. Senza questo punto di partenza, ogni discussione rischia di divenire un dialogo tra sordi. L’Avvocatura penalista è pronta al confronto anche sui temi dell’efficienza ma con un’ineludibile premessa: indietro non si torna. Buon lavoro a tutti.5 ottobre 2015Eustacchio Porreca